sabato 30 maggio 2020

L'etica e il mondo dei videogames - Step #21

Più volte abbiamo fatto accenno a quella che è la vera dimensione del gioco della nostra epoca, ovvero quella virtuale, che ci ripropone i giochi, classici o innovativi, ma potenziati, con scenari che sembrano realistici tanto da tenerci incollati per ore agli schermi: è innegabile che grazie ai prodigi della tecnologia, giocare con pc e console ci permette di entrare nel gioco, immedesimarci col personaggio, e il tutto diventa estremamente coinvolgente. 

Nelle case di ragazzi e adolescenti i videogames sono ormai immancabili, e in post precedenti già era stato affrontato uno degli aspetti più controversi e criticati del mondo del gioco virtuale: la dipendenza e l'alienazione che possono provocare in coloro che mancano di autocontrollo (leggi: gioco e realtà aumentata: i limiti). Anche in questo post, in qualche modo riapriamo nuovamente questo dibattito legato al lato "oscuro" del gioco virtuale, parlando del rapporto tra etica e videogames ai giorni nostri: il discorso che lega la morale ai videogiochi è aperto da ormai molto tempo, dal momento che i videogames presenti sul mercato non sempre propongono tematiche pacifiche e istruttive: giochi che fanno di guerra, omicidi e atti illegali un vero e proprio passatempo e divertimento, sono tanti.

Di videogames che possono essere riconosciuti sicuramente come poco educativi e trattanti tematiche ritenute lontane dalla morale e dal corretto comportamento, ne esistono tanti, alcuni nelle classifiche dei pezzi più venduti in assoluto. Ne è un esempio il famosissimo "GTA" ("Grand Theft Auto"), in cui il giocatore interpreta un criminale che, libero di girovagare per la città, deve completare missioni quali rapine, omicidi, ed altri crimini: insomma, il punteggio nel giocatore è tanto alto quante sono le effrazioni commesse. Per cui, è naturale pensare che giochi come questi rischiano seriamente di sdoganare non solo la violenza, ma anche di legittimare situazioni dannose, come l'uso di fumo e alcool, fino ad arrivare alla droga e alla prostituzione. Non finisce qui, perchè in giochi di questo tipo si ripropongono argomenti anche più importanti, come il razzismo, la violenza verbale e il sessismo, il cui peso etico è molto alto specialmente nella nostra era. Questi possono costituire un elemento facilmente interiorizzabile dal giocatore perché messo in pratica più e più ore, per tutta la permanenza sul titolo in questione. 

Il discorso etico in questi casi viene completamente trascurato, con ripercussioni che possono risultare molto rilevanti specialmente considerando che i gamers sono solitamente ragazzi di età compresa tra i 14 e i 25 anni, che possono quindi interiorizzare molto facilmente comportamenti moralmente sbagliati recependoli come "accettabili".

Può essere difficile distinguere le azioni corrette dal quelle scorrette!
Ovviamente non bisogna generalizzare, perchè ci sono altrettanti videogiochi che, al contrario, presentano situazioni positive e stimolanti, e che possono educare il giocatore alla sana competizione e al rispetto delle re


gole, come i videogames che simulano competizioni sportive, o quelli in cui il giocatore è un eroe impegnato a lottare contro un ipotetico nemico che incarna comportamenti moralmente scorretti e pericolosi (la lotta tra bene e male infatti, non è solo un classico tema artistico-letterario o filosofico: lo si trova anche qui!). In questi casi è facile capire che invece i giochi possono diventare potenti strumenti educativi.

Il dibattito sull'etica e sulla morale probabilmente non si risolverà, per cui è compito del giocatore che acquista e fa uso di questi passatempi di saper discernere la realtà dal mondo virtuale: infatti, se usati con consapevolezza e spirito critico, i videogames, che siano eticamente corretti o che non lo siano, possono comunque trasformarsi in una vera e propria "palestra" in cui il giocatore può sperimentare anche i comportamenti scorretti per prendere coscienza delle conseguenze e delle ripercussioni che comportano.

Riferimenti:




martedì 26 maggio 2020

Leopardi e il gioco - Step #20

Ritratto di Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi, poeta, scrittore e filosofo dell'Ottocento italiano, può essere senz'altro considerato come una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonchè portatore di un messaggio esistenziale universale che non conosce limiti spaziali o temporali: la qualità della sua poesia e la potenza del suo pensiero hanno influenzato radicalmente la dimensione lirica successiva alla sua epoca.

Copertina della prima
pubblicazione dello Zibaldone

Sicuramente, tutti conosciamo le sue opere più famose, lo Zibaldone di pensieri, le Operette morali, i Canti, i Pensieri... Sarebbe opportuno soffermarci specialmente sulla prima tra queste opere, lo Zibaldone: infatti questa è considerata come una vera e propria officina del pensiero leopardiano, in cui l'autore affronta temi di varia natura che si intrecciano con le sue esperienze di vita. In pratica, Leopardi in quest'opera racconta sè stesso, ci permette di guardare dentro la sua mente.
Non a caso, si tratta di un'opera monumentale, ben 4526 pagine: non sorprende quindi, che è possibile rintracciare anche la nostra tematica al suo interno, presente in più spunti, di cui ho deciso di riportare quelli più significativi.

Nel due passaggi riportati, Leopardi ripercorre la propria infanzia, portando alla mente il ricordo dei giochi con i propri fratelli, inserendo l'attività ludica all'interno della sua indagine sulla teoria del piacere:

«Quando io era fanciullo, diceva talvolta a qualcuno de’ miei fratellini, tu mi farai da cavallo.
E legatolo a una cordicella, lo venìa conducendo come per la briglia e toccandolo con una
frusta. E quelli mi lasciavano fare con diletto, e non per questo erano altro che miei fratelli»
(Zibaldone, 106 - 26 Marzo 1820)

«Piacere, entusiasmo ed emulazione che mi cagionavano
nella mia prima gioventù i giuochi e gli spassi ch’io pigliava co’ miei fratelli, dov’entrasse uso
e paragone di forze corporali. Quella specie di piccola gloria ecclissava per qualche tempo a’
miei occhi quella di cui io andava continuamente e sì cupidamente in cerca co’ miei abituali
studi» 
(Zibaldone, 4418 - 30 Novembre 1828)


Per saperne di più


lunedì 25 maggio 2020

Il gioco nel pensiero utopico: Tommaso Moro - Step #19

La parola Utopia viene usata per la prima volta da Tommaso Moro, umanista, scrittore e politico cattolico inglese, vissuto a metà tra il XIV e il XV secolo, come titolo della sua opera più conosciuta, pubblicata nel 1516. In Utopia, egli espone le usanze, le abitudini e i costumi del popolo dell'isola di Utopia, un "non luogo" raccontato come una società perfetta, ma allo stesso tempo impossibile da realizzare. In quest'opera  alcuni studiosi moderni hanno ravvisato un opposto idealizzato dell'Europa contemporanea a Moro, mentre altri vi riscontrano una satira sferzante della stessa. Moro conia questo termine dal greco antico, con un gioco di parole fra ou-topos (cioè non-luogo) ed eu-topos (luogo felice); utopia è quindi, letteralmente un "luogo felice inesistente".
Illustrazione dell'isola di Utopia
Ed è proprio in quest'opera, espressione del pensiero utopico, che ritroviamo il gioco: infatti, nel racconto della città di Utopia, il gioco viene presentato da Moro come strumento di educazione: il ludens considerato come ritorno alla regola e al valore. Addirittura, secondo Moro, "veramente ad ogni modo segue, che la ferma sanità riesca una vita gioconda". Torna quindi il senso del gioco come strumento di educazione e formazione, già esaltato da Platone, contrapposto alla società contemporanea di Moro che appare priva di regole e fondamenti, dal punto di vista sociale e politico.

Perchè anche in questo caso l'idea di Moro riguardo il gioco è utopica
Come veniva sottolineato nei post precedenti, il pensiero comune oggi associa l'attività ludica al mondo infantile, rendendola un'impiego marginale che poco ha a che fare col mondo della responsabilità e del lavoro: il gioco si traduce quasi in una perdita di tempo, in un'attività destinata a bambini o adulti che non hanno voglia di crescere.
Sarebbe importante invece rivalutare il gioco, e ricordare che attraverso la sua struttura e le sue regole, i bambini emulano la vita adulta giocando, e preparandosi a diventare futuri cittadini della società di domani: pertanto, educare i bambini al gioco, significa educarli al rispetto delle regole, preparandoli a essere consapevoli abitanti del mondo.

Riferimenti e approfondimenti:



Il gioco nella filosofia contemporanea: il pensiero di Eugen Fink - Step #18

Già nei post precedenti, si è preso più volte sotto indagine il gioco dal punto di vista filosofico: il che può sembrare quasi strano, specialmente se si considera che le dimensioni da cui provengono il gioco e il pensiero sono quasi opposte. Da un lato infatti, il gioco sembra essere proprio di una dimensione infantile, spensierata, leggera, mentre il pensiero filosofico è proprio di senso critico, riflessivo, espressione dell'età matura.
Oasi della gioia, Eugen Fink, 1957

Nonostante ciò, sono tanti i filosofi che hanno indagato l'importanza e la funzione del gioco, a partire dall'antichità: ne è un esempio Platone, del quale abbiamo parlato qualche post fa (leggi : Platone e la funzione educativa del gioco), ma è possibile rintracciare molti altri filosofi che ne discutono, appartenenti anche all'era contemporanea. Poco tempo fa già uno di questi era stato preso in considerazione: Johan Huizinga, uno dei primi filosofi a noi vicini che nel 1938 pubblicò l'opera "Homo Ludens", opera espressiva del legame tra gioco e uomo (clicca qui per sapere di più su J. Huizinga).

Huizinga non è di certo l'unico filosofo che affronta questa tematica: possiamo infatti concentrare la nostra attenzione anche sul pensiero di un altro famoso esponente della filosofia contemporanea, proveniente dalla scuola tedesca.
Si tratta di Eugen Fink (1905-1975), un filosofo e fenomenologo tedesco: allievo di Husserl e di Heidegger all’università di Friburgo, ha dimostrato tramite le sue idee come anche il gioco può essere un degno oggetto d’indagine da parte della filosofia.
Infatti il gioco è, secondo Fink, un elemento fondamentale della nostra cultura, tanto che egli scrive ben due saggi riguardanti questa tematica: "Oasi della gioia" (pubblicato nel 1957) e "Il gioco come simbolo del mondo" (pubblicato nel 1960).

Eugen Fink
Il punto di partenza del pensiero di Fink proviene da uno dei frammenti di Eraclito, che recita: “Il corso del mondo è un fanciullo che gioca a dadi, una regale signoria del fanciullo”. Interessante è il fatto che Eraclito non usa il termine kronos (tempo), ma aion (il corso del mondo, l’eterno). L’immagine del bambino che gioca a dadi permette a Fink di cogliere nel fenomeno umano del gioco un significato universale, una “trasparenza cosmica”: infatti, sia il gioco, sia il mondo, si prestano a essere chiariti l’uno alla luce dell’altro. La peculiarità dell’uomo come essere-nel-mondo (cioè quell’ente che, nonostante sia “gettato” nel mondo, si rapporta consapevolmente al mondo stesso e lo comprende), fa sì che il gioco umano possa essere assunto a simbolo del gioco cosmico.

Questo modo di pensare si rivela alquanto controcorrente: infatti, secondo il senso comune, il gioco è un’attività marginale dell’esistenza umana, che si contrappone al lavoro e alle attività “serie” della vita. Nella vita adulta invece, osserva Fink, i giochi sono spesso tecniche ripetitive di passatempo e tradiscono il fatto che spesso nascono dalla noia. Invece per il fanciullo il gioco sembra essere “un sano mezzo di esistenza”. 
Il gioco è caratterizzato dalla totale gratuità, dalla libertà: si presenta cioè come “un’oasi della gioia” perché, proprio quando obbligo, lavoro, cura e responsabilità iniziano a impegnare le energie del giovane in crescita, il gioco rischia di perdere del tutto il suo significato originario e il suo carattere di azione spontanea, di slancio vitale, trasformandosi piuttosto in "un'oasi" nella quale sfuggire dai pesi della responsabilità. Secondo Fink, proprio per questo è importante cercare di conservare quanto più possibile la spontaneità, la fantasia, l’iniziativa di chi gioca.

il gioco: apertura verso l'altro
La filosofia di Fink è pertanto in totale accordo al pensiero di Schiller sul gioco, come afferma la sua famosa massima (frase titolo di questo blog): “l’uomo c’è interamente lì dove gioca”. Non solo: giocare significa anche coinvolgimento del prossimo, apertura verso l’altro. Fink, nella sua indagine, fa riferimento anche al pensiero di un altro grande pilastro della filosofia, Nietzsche, ricordando un suo famoso passo: “Un nascere e un perire, un costruire e un distruggere, che si svolgano in un’innocenza eternamente uguale, si ritrovano in questo mondo solo attraverso il gioco dell’artista e del fanciullo”.

L'indagine di Fink è tra le più attuali e significative: è davvero esplicativa del profondo legame tra l'io adulto, l'io bambino e il mondo attraverso il gioco, visto non solo come svago e passatempo, ma come essenza di una connessione molto più profonda.

domenica 17 maggio 2020

Gli scacchi, tra matematica e leggenda



A fare da sfondo a questo blog, vi è l'immagine di una scacchiera: è una scelta che può sembrare banale, ma in realtà gli scacchi sono più di un piacevole passatempo per gli amanti dei giochi da tavolo. Si tratta infatti di uno dei giochi di strategia più popolari al mondo, con origini antichissime che si intrecciano a una leggenda che sicuramente tutti avremo sentito almeno una volta:



"Si narra di un ricchissimo Principe indiano: nulla gli mancava, ma trascorreva le giornate nell'ozio e nella noia. Un giorno, stanco di tanta inerzia, annunciò a tutti che avrebbe donato qualunque cosa richiesta a colui che fosse riuscito a farlo divertire nuovamente.
A corte si presentò uno stuolo di personaggi d'ogni genere, ma nessuno riuscì a rallegrare l'annoiato Principe. Finché si fece avanti un mercante, famoso per le sue invenzioni. Aprì una scatola, estrasse una tavola con disegnate alternatamente 64 caselle bianche e nere, vi appoggiò sopra 32 figure di legno variamente intagliate, e si rivolse al nobile reggente, presentandogli quello che egli stesso aveva nominato "gioco degli scacchi".
Il mercante gli mostrò le regole del gioco, sconfiggendolo in una partita dimostrativa. Il Principe chiese la rivincita, perdendo nuovamente. Fu alla quarta sconfitta consecutiva che capì il genio del mercante, accorgendosi per giunta che non provava più noia ma un gran divertimento! Fedele alla sua promessa, chiese all'inventore quale ricompensa desiderasse.
Il mercante allora, chiese un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza, e via a raddoppiare fino all'ultima casella. Gli scribi di corte si apprestarono a fare i conti, ma dopo qualche calcolo la meraviglia si stampò sui loro volti. Il risultato finale, infatti, era uguale alla quantità di grano ottenibile coltivando una superficie più grande della stessa Terra! Inutile dire che il Principe, non potendo esaudire tale richiesta, fece giustiziare il mercante."

Quella che con ogni probabilità è una leggenda, ci fa però riflettere sullo stretto collegamento che possiamo trovare tra scacchi e matematica. Infatti, se associamo ai bordi della scacchiera numeri e lettere che fungono da coordinate, si può vedere benissimo come essa sia un piano cartesiano!
Piano cartesiano nella scacchiera

Una caratteristica geometrica molto interessante della scacchiera è che essa discretizza un piano continuo e pertanto, ne perde alcune delle caratteristiche euclidee. In generale, infatti, è possibile collegare fra loro due punti (caselle) mediante un solo segmento di minima lunghezza (numero di mosse).
Altra curiosità è che dividendo la scacchiera lungo una diagonale si ottiene un triangolo rettangolo in cui sia i lati che la diagonale hanno una lunghezza di otto caselle: in altre parole, un triangolo retto equilatero per il quale non vale il teorema di Pitagora

Al Congresso Internazionale dei Matematici del 1912 Ernst Zermelo, celebre matematico tedesco noto per le sue teorie sugli insiemi, notò che il gioco degli scacchi è determinato, nel senso seguente: o esiste una strategia che permette al bianco di vincere sempre, o esiste una strategia che permette al nero di vincere sempre, o esiste una strategia che permette a entrambi i giocatori di pattare sempre: ma anche in questo caso, se il nero patta vince il bianco, e viceversa.

Altro spunto matematico è sicuramente quello presente nella leggenda, ovvero l'elevamento a potenza: l’inventore aveva richiesto 1 + 2 + 4 + 8 + ... + 2^263 chicchi di grano, che corrisponde a un numero enorme: 18 446 744 073 709 551 615!!!
Questo particolare fa riflettere specialmente sui pericoli della crescita esponenziale di molti fenomeni: ne abbiamo vissuto uno proprio in questo periodo: la pandemia da COVID-19 ha seguito proprio questo tipo di andamento. Anche l'aumento demografico ne è un altro esempio preoccupante: cosa succederebbe se la popolazione sulla terra cominciasse a crescere con andamento esponenziale? Il rapporto degli scienziati del MIT "Limits to growth" , pubblicato nel 1972, è interessato proprio a tale tipo di studio: ipotizza le conseguenze della continua crescita della popolazione sull'ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana.

Riferimenti e approfondimenti:

L'abbecedario del gioco - Step #17

Uno dei modi più efficaci per esprimere i significati di un concetto a 360 gradi? Descriverlo con una parola per ogni lettera dell'alfabeto!

A abilità
B burla
C competizione
D dadi
E enigma
F formazione
G gara
H hobby
I intrattenimento
J joystick
K karate
L logica
M memoria
N numeri
O olimpiadi
P passione
Q quiz
R ruolo
S strategia
T tecnologia
U unione
V virtuale
W wargame
X x-box
Y yoyo
Z zig-zag

sabato 16 maggio 2020

Johan Huizinga: un testimonial per il gioco - Step#16

Tra i personaggi che si possono rintracciare nella storia e nella filosofia, portavoci dell'importanza del gioco in quanto mezzo educativo ed espressivo, imprescindibile nella formazione umana, la figura più significativa è senz'altro quella del filosofo olandese Johan Huizinga, che nel 1938 scrive la sua opera più importante, dal titolo 'Homo Ludens'. 
Johan Huizinga, 1938

Questo scritto rappresenta la prima opera in assoluto in cui il gioco viene descritto attraverso una trattazione sistematica, tipica delle indagini filosofiche: egli infatti, propone questo concetto come centro propulsore di tutte le attività umane e, secondo la sua teoria, da esso si sviluppa la cultura secondo differenti forme.
La sua tesi è sicuramente innovativa: egli infatti sostiene che la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco e come gioco, ed esso è presentato per la prima volta come un'attività culturale e spirituale insieme. Si tratta quindi di una pulsione istintuale, spirituale, attraverso la quale l'uomo si esprime, senza giustificazione logica.

Secondo Huizinga, il gioco è presente dall'alba dei tempi in qualsiasi società, e diventa espressione di una determinata società o civiltà. Non si gioca ovunque nello stesso modo, le varie civiltà esprimono modi di giocare differenti legati alle loro caratteristiche, ma la cosa essenziale è che ovunque si gioca e si è sempre giocato.
Copertina principale dell'opera di J. Huizinga "Homo Ludens"

Il gioco viene definito dalle seguenti caratteristiche:
1- È attività libera, cui l’individuo prende parte per propria scelta;
2- Instaura una realtà diversa da quella di tutti i giorni;
3- È attività disinteressata;
4- Si svolge entro precise limitazioni di tempo e di spazio;
5- Segue un codice, delle regole prefissate, cui il giocatore decide di sottostare.

Per il filosofo quindi, il gioco è una costante fondamentale dello sviluppo di una cultura, la base su cui si poggia per costruirsi; inoltre, è più antico della cultura stessa ed è qualcosa di più che un fenomeno puramente fisiologico o una reazione psichica fisiologicamente determinata. Il gioco è una funzione che contiene senso. In questa accezione dunque, il gioco sarebbe, tra i tanti strumenti di produzione del senso individuale e di costruzione dell’immaginario collettivo, quello privilegiato.

Gli scacchi: non sono solo un gioco!

Gli scacchi non sono soltanto un passatempo, o un gioco di abilità. Studi dimostrano come giocare a scacchi possa davvero portare benefici: sviluppare la memoria e la logica, la capacità di sintesi e la valutazione delle situazioni.
Un breve servizio andato in onda durante una puntata (non troppo recente) del noto programma di divulgazione scientifica "Superquark", ce lo spiega in dettaglio, riprendendo le olimpiadi di scacchi svolte a Torino nel 2006:

Gioco e realtà aumentata : i limiti dello sviluppo - Step #15


Lo sviluppo tecnologico negli ultimi anni è diventato sempre più rapido: mese per mese, il mondo della tecnologia ci propone dispositivi che sembrano quasi miracolosi, testimonianza di come l'abilità umana sia capace di opere grandiose. Tuttavia, ogni invenzione si deve sempre valutare da due prospettive opposte, per individuarne non solo i benefici, ma anche i possibili rischi. É il rovescio della medaglia, che ci porta a fare i conti ogni volta con la realtà e a frenare lo sviluppo impetuoso della tecnologia, o meglio, a rivederlo a favore di uno sviluppo sostenibile. Al riguardo, una delle più complete analisi sullo scenario della crescita economica, demografica e tecnologica dell'umanità, è il rapporto "The limits to growth" pubblicato nel 1972, commissionato al MIT dal Club di Roma, che si propone di analizzare le conseguenze dello sviluppo socioeconomico. 

The original projections of the limits-to-growth model examined ...
Il grafico originale tracciato in "The limits to growth",
sull'andamento delle risorse nel corso degli anni

Anche il nostro tema, il gioco, si può studiare nello scenario legato ai limiti dello sviluppo. Infatti, è chiaro che, al crescere della tecnologia, è cambiato anche il modo di giocare: i videogames sono stati una vera e propria rivoluzione, e oggi l'ultima frontiera sono gli strumenti per giocare con la realtà virtuale. Tuttavia, quali sono i rischi da valutare nello sviluppo di questo settore?

Il primo è sicuramente la dipendenza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito il gaming disorder nell'International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems, provvedimento che sarà effettivo dal 1° gennaio 2020. 

Il secondo punto, riguarda lo sviluppo di giochi che fanno uso della realtà aumentata (VR). Questa rappresenta uno strumento straordinario, considerato il suo impiego specialmente nei settori della medicina o di tante altre scienze. Tuttavia, il suo utilizzo per rendere i videogiochi ancora più coinvolgenti può essere un rischio, come sottolinea Jeremy Bailenson, direttore del Virtual Human Interaction Lab della Stanford University.

Un utente prova il visore per realtà Gear aumentata messo a punto dalla Samsung

Secondo i ricercatori di Stanford i punti di cui preoccuparsi sono diversi: la tesi del laboratorio è che la realtà virtuale possa influenzare i punti di vista e le scelte degli utenti ben più di ogni altra tecnologia, anche se la si usa per brevi periodi. Questo accade perchè la virtual reality crea esperienze paragonabili se non del tutto sovrapponibili alla vita reale. Inoltre, in questi anni gli studiosi hanno dimostrato con numerosi esperimenti che basta un'unica esperienza di realtà virtuale per incidere nella nostra psicologia. Nel corso di un test, per esempio, i ricercatori hanno prodotto progetti nei quali gli utenti hanno vissuto, attraverso visori per la VR, episodi violenti come il coma diabetico di un homeless a Los Angeles o un bombardamento in Siria. Con effetti devastanti e pianti ininterrotti.

Dato l’altissimo grado di immersività della realtà virtuale, è quindi abbastanza prevedibile che in alcune persone possa causare un vero e proprio senso di alienazione. I videogiochi e i computer in generale possono aiutare persone già con problemi di relazione ad isolarsi. Con la realtà virtuale la cosa sarà ancora più evidente:  il mondo virtuale potrebbe risultare più allettante del mondo vero, accentuando uno scollamento dalla realtà in chi già presentasse forme di asocialità patologica.

Un secondo rischio è dato dalla sopravvalutazione delle proprie capacità: le azioni in un video gioco sono ovviamente semplificate. Non si avverte vera fatica fisica, temperatura etc. Rimanere a lungo in un ambiente virtuale potrebbe dissolvere il confine percettivo tra realtà e finzione, imprimedo nell’utente la convinzione di essere in grado di fare nella realtà ciò che fa agevolmente nella finzione: i rischi sarebbero enormi.

Le conclusioni? 
Certo è che in alcun modo il mezzo può essere considerato responsabile. La tecnologia, come la scienza, è tendenzialmente neutra: nasce in risposta a dei problemi. Ma questo non toglie che un utilizzo eccessivo o errato possa invece causarne di altri. Ma l’utilizzo non è il mezzo. L’utilizzo è deciso dalle persone: i limiti dello sviluppo tecnologico sono nelle nostre stesse mani, sta a noi saperci rapportare con la crescita, e muoverci a favore di uno sviluppo sostenibile.

venerdì 8 maggio 2020

Il gioco nella cronaca - Step #14

Anche negli avvenimenti di cronaca è possibile ritrovare la tematica del gioco: purtroppo, le notizie che lo coinvolgono sono quasi sempre drammatiche, legate specialmente al settore del gioco d'azzardo e della dipendenza che può provocare.
Infatti, specialmente da quando il gioco d'azzardo si può praticare anche sulle piattaforme virtuali, senza bisogno di lasciare la propria abitazione, si sono moltiplicati esponenzialmente i numeri di coloro che ne diventano dipendenti, vittime di quella che viene classificata come una vera e propria malattia psichiatrica.
Nei casi più estremi, si parla di ludopatia: a tutti gli effetti una patologia che fino a poco tempo fa era inclusa nell'ampio gruppo dei disturbi da discontrollo degli impulsi, e che più di recente è stata riclassificata nell'ambito delle dipendenze:  essa induce a giocare in modo del tutto irragionevole e incontrollato, anche se non si hanno risorse economiche sufficienti a compensare le perdite, ritrovandosi quindi ben presto seriamente indebitati e in condizioni di seria difficoltà familiare, professionale e sociale.
Di seguito, uno dei (purtroppo) tanti casi di cronaca di questo tipo, dal giornale "La Stampa":

Purtroppo, notizie simili riempiono le pagine dei giornali ogni giorno, e le vittime di tale dipendenza in molti casi arrivano a dilapidare totalmente le proprie risorse economiche prima di prendere consapevolezza della propria patologia e cercare aiuto.
La diffusione della dipendenza da gioco d’azzardo è sicuramente influenzata dalla disponibilità di mezzi e dal grado di legalità di tale pratica: ultimamente vi è un dilagare di sale gioco e slot machine in molti locali pubblici, con un conseguente incremento esponenziale del fenomeno, sia negli adulti che negli adolescenti.
Curare una dipendenza da gioco non è per nulla semplice: colui che ne è affetto deve innanzitutto riconoscere di essere dipendente, e deve per primo manifestare il desiderio di interrompere il circolo vizioso, affidandosi anche ad esperti che possano indirizzarlo a recuperare un corretto stile di vita.

Fonti e riferimenti:
La notizia nell'immagine è tratta integralmente dal seguente link: La Stampa - cronaca e gioco d'azzardo

Per saperne di più:





Il gioco nell'ingegneria meccanica - Step #13

Già nei post precedenti è stata sottolineata la molteplicità di ambiti che coinvolgono il concetto del gioco, presente non solo nella letteratura, nell'arte o nella filosofia: infatti, il gioco compare, con declinazione differente, anche negli ambiti scientifici, come la matematica e alla statistica (leggi gli articoli precendenti al riguardo: il cubo di Rubik e i dadi). Ma non finisce qui: possiamo parlare di gioco anche riferendoci all'altro pilastro di questo blog: l'ingegneria, nello specifico quella meccanica.

Infatti, l'ingegneria meccanica definisce "gioco" una piccola differenza dimensionale tra due organi meccanici accoppiati tra loro, tale da consentire il moto relativo fra i due organi, come si può vedere in figura:

Per essere precisi, il gioco tra due o più organi meccanici, fra i quali si verifica la trasmissione di moto, è uno spazio di movimento non trasmesso durante l'inversione di direzione. Per fare un esempio molto semplice, in una coppia di ruote dentate (come mostrato dall'immagine), il gioco meccanico è determinato dallo spazio tra i denti delle due ruote accoppiate. A causa dell'esistenza di tale spazio, durante l'inversione di moto della ruota movente, la ruota cedente rimarrà ferma fino a quando i denti delle due ruote torneranno ad essere in contatto: il gioco è quindi lo spazio evidenziato dalle due frecce in figura.

Il gioco può essere presente anche fra pezzi meccanici non destinati alla trasmissione di moto. In tal caso esso ha la funzione di permettere uno scorrimento reciproco, senza interferenze, in fase di montaggio e/o durante le fasi di lavoro della macchina.

Questo concetto di gioco, è collegato con un'altra nozione ingegneristica, quella di tolleranza: leggi la definizione di Tolleranza su wikipedia!

Per saperne di più:

venerdì 1 maggio 2020

Il cubo di Rubik - gioco e matematica

Il cubo di Rubik è un famosissimo puzzle 3D inventato dal professore di architettura e scultore ungherese Ernő Rubik nel 1974, ed è considerato da molti il giocattolo più venduto della storia: in effetti, chi non ne ha mai tenuto uno tra le mani?



Su un classico cubo di Rubik, ognuna delle sei facce è ricoperta da nove adesivi, ognuno dei quali presenta un particolare colore: bianco, giallo, rosso, verde, blu e arancione. Un meccanismo interno permette alle facce di ruotare in modo indipendente, così da mescolare i colori del cubo. Per risolvere il rompicapo, ogni faccia deve tornare a mostrare un solo colore.

Nonostante il cubo di Rubik abbia raggiunto il picco della sua popolarità all'inizio degli anni '80, è ancora molto apprezzato, diventando protagonista di tornei e gare in tutto il mondo, gestita dalla World Cube Association, che registra i record nelle varie categorie.

Ma come mai tanto interesse per un “semplice” giocattolo? Il Cubo di Rubik, in realtà, è un oggetto molto interessante soprattutto per i matematici perchè rappresenta concetti  dell’algebra astratta, come la teoria dei gruppi e il calcolo combinatorio. Le mosse di un cubo di Rubik producono configurazioni che si ripetono, e sono un ottimo esempio pratico delle teorie matematiche che riguardano il calcolo di combinazioni e permutazioni.

Infatti, l'originale cubo di Rubik (3×3×3) è composto da otto angoli e dodici spigoli. Esistono quindi 8! (40.320) modi diversi di disporre i diversi pezzi angolari nel cubo. 
Ogni angolo può essere ruotato in tre posizioni diverse, ma solo sette degli otto angoli possono essere ruotati in modo indipendente; la disposizione dell'ultimo angolo dipenderà dalla posizione degli altri sette. Questo fornisce 37 (2.187) diverse possibilità. Ci sono 12!/2 (239.500.800) modi di disporre i dodici spigoli, ciascuno dei quali può essere ruotato in modo indipendente ad eccezione dell'ultimo, la cui posizione dipende da quella degli altri undici, per un totale di 211 (2.048) modi diversi. Il numero totale di permutazioni del cubo di Rubik, ovvero il numero totale di configurazioni che il cubo può assumere, è perciò dato da:
 
che equivale approssimativamente a 43 trilioni.

Non a caso, le pubblicità iniziali dell'originale cubo di Rubik presentavano il puzzle come avente "oltre tre miliardi di combinazioni ma solo una soluzione". Avendo a disposizione tanti cubi di Rubik quante sono le sue possibili configurazioni, sarebbe possibile ricoprire la superficie della Terra 275 volte!!!

Sitografia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Cubo_di_Rubik
https://matematicandoinsieme.wordpress.com/2014/05/19/il-cubo-di-rubik-dal-punto-di-vista-matematico/