sabato 6 giugno 2020

Conclusioni di fine percorso - Step #24


disegno realizzato da me: un simbolo per il gioco

Quando si parla di gioco, il primo pensiero a cui si fa riferimento è l’attività ludica ed educativa che accompagna ogni essere umano fin dai primi anni della propria vita: il gioco rappresenta infatti, l’interfaccia con la quale ogni bambino si rapporta con il mondo adulto, emulandolo e conoscendone regole e contraddizioni. Tuttavia, così come, man mano che si cresce, si dimentica di giocare, si perde anche la consapevolezza del vero significato del gioco, che va al di là di un semplice passatempo o di un’attività ricreativa: esso rappresenta, invece, come ribadito dai filosofi contemporanei Johan Huizinga e Eugen Fink, la nostra essenza, la sostanza del nostro animo.

Infatti, per quanto si cerchi di accantonarlo, a qualsiasi età, ci si ritrova con gli occhi infantili e pieni di meraviglia di fronte a un pallone, tanto che il mondo intero aspetta con ansia le Olimpiadi, le competizioni sportive, trovando nel gioco un linguaggio universale per comunicare. Il gioco ci rincorre, nelle pubblicità e nel cinema, in cui si ripresenta con scene mozzafiato ed effetti sorprendenti, nell’arte, espresso dagli accostamenti giocosi di forme e colori, nella poesia e nella narrativa, fino ad arrivare alle serie TV e ai fumetti.

Allo stesso tempo, anche noi rincorriamo il gioco, potenziandolo e plasmandolo con gli strumenti offerti dalla tecnologia della nostra epoca: oggi, non si gioca più solo con i dadi, con un pallone o con un tabellone e delle pedine. La dimensione moderna del gioco è virtuale, digitale, è il prodotto dell'dell'ingegneria e dell'elettronica: visori per la virtual reality, console e sensori ci permettono di entrare nel gioco, diventarne parte, tanto che si può aprire anche un dibattito etico su tale argomento: purtroppo infatti, sono tanti anche coloro i quali diventano "prigionieri" del gioco, entrando nella dipendenza.

Guardando come il gioco si è sviluppato, si può persino ricostruire il modo di vivere e di pensare di una determinata civiltà in una certa epoca: esso infatti, ci racconta la storia dei popoli, e si può arrivare a risultati ancora più sorprendenti analizzando questa parola in lingue diverse, per poi riscoprire che dietro ideogrammi, simboli e accostamenti sintattici differenti si nasconde sempre la medesima essenza, lo stesso modo di concepire il gioco: come spettacolo, divertimento, competizione e… matematica. Può sembrar strano, ma è proprio così: i dadi non sono solo il gioco più antico del mondo, ma sono anche la primordiale macchina del caso, così come il cubo di Rubik ha a che fare col calcolo combinatorio, e negli scacchi è possibile ritrovare il piano cartesiano.

Ma, a questo punto, è semplice capire che lo scopo di tale percorso, va molto più al di là di una semplice analisi sul gioco. Infatti, questo lavoro è esplicativo del fatto che, per comprendere pienamente il senso di ciò che ci circonda, è necessario spostarsi dalla propria prospettiva, e indagare un concetto da più punti di vista, non solo superficialmente. Lo spirito della filosofia, così come quello dell’ingegneria, in fondo è proprio questo: smontare un concetto, rimontarlo in modo diverso, collegare ogni tassello con altri che gli somigliano, così come ci insegna Aby Warburg. Si arriva, in questo modo, a qualcosa di molto più profondo di una semplice interpretazione: si riesce a cogliere una connessione ancestrale e significativa che investe tutte le discipline, anche quelle che possono sembrare collocate su orizzonti opposti!

I Giochi Olimpici: pace e competizione

Il simbolo delle Olimpiadi

Il gioco è da tempi antichi considerato non solo un momento di competizione e prova, ma anche e soprattutto di pace, in cui giocare diventa il linguaggio universale che permette l'unione di nazioni ed etnie diverse: tale è proprio lo spirito delle Olimpiadi, nel cui vessillo si riconoscono gli uomini di tutto il pianeta senza distinzioni: la Bandiera Olimpica, infatti, è proprio il simbolo dell’ «Ekecheiria», ovvero, della Pace.

Il discobolo di Mirone, 455 a.C.
I Giochi olimpici hanno le loro origini in una delle città dell'antica Grecia, Olimpia, storicamente dal 776 a.C. al 393 d.C, in cui si svolgevano ogni quattro anni. Nell'antichità, si tennero in tutto 292 edizioni dei Giochi olimpici: le guerre erano sospese da una tregua e si riunivano concorrenti provenienti da ogni dove.
Lo spirito di pace e unione simboleggiato da questi giochi, ancora oggi viene ripercorso attraverso il viaggio della Fiaccola, con il suo passaggio che di mano in mano attraversa le vie, le piazze, senza barriere e senza confini, a ricordare la solidarietà e il rispetto tra tutti i cittadini del pianeta. 

Il motto olimpico "Citius, Altius, Fortius" (più veloce, più alto, più forte), non è dedicato solo agli atleti, ma a tutti i partecipanti, compreso il pubblico presente. Ogni essere umano, infatti, compete più che per una medaglia, lo fa per migliorare la propria vita e quella degli altri, ma lo deve fare nel rispetto delle regole. L’uomo nel suo slancio vitale ha l’esigenza di attingere a mete sempre più alte, pertanto il motto olimpico sintetizza anche l’impegno di scienziati, esploratori, pensatori, insegnanti e sportivi in genere che si adoperano per il progresso umano a favore della pace universale.
I valori olimpici sono presenti nei seguenti simboli: la Bandiera olimpica, il Motto olimpico, l’Inno olimpico, la Fiaccola, il Braciere
Il fuoco, in particolare, è un elemento che segna l’intera durata dei Giochi, rappresenta la passione per gli ideali dello sport e la gioia espressa da tutti i popoli presenti all’evento. 

Le Olimpiadi oggi non rappresentano quindi soltanto una competizione sportiva mondiale, ma un messaggio di unità, rispetto, solidarietà, cioè gli stessi valori che animavano i nostri antenati sin dalle prime edizioni di questi giochi: si tratta di una testimonianza vera sul fatto che il gioco non è solo divertimento o antagonismo, ma soprattutto occasione di dialogo e incontro universale.

Sitografia e approfondimenti:

martedì 2 giugno 2020

I giocatori di carte - Paul Cézanne

I giocatori di carte, olio su tela (47x56 cm).
Artista: Paul Cézanne .
Musée d'Orsay di Parigi.
Per saperne di più

Sette prospettive per il gioco - Step #23

In questa mappa concettuale si trova condensato il significato del gioco in ogni suo aspetto: storia, filosofia, arte, matematica e molto altro: questa analisi è l'esempio di quanto ricca e ampia può essere una tematica se esplorata da prospettive differenti, se la si osserva non in maniera schematica e banale, ma ragionando per connessioni e parallelismi.




Per saperne di più, leggi gli articoli a proposito di ogni parola chiave:

lunedì 1 giugno 2020

Beyond: il gioco nel gioco - #Step 22

Uno tra i passatempi preferiti di ragazzi e adulti, esploso in questi ultimi anni, sono le serie tv, diffusissime su varie piattaforme del piccolo schermo, che offrono una vasta scelta adatta a persone di tutte le età. Per questo, può essere interessante inventare una mini-serie di tre puntate che riguardi il gioco: vi presento di seguito la trama!

Beyond: cos'è reale?

Puntata 1
Torino - 17 marzo 2000 - ore 18:00
la città di Torino è sconvolta dalla scomparsa di Marco, un ragazzo di 16 anni di cui si sono misteriosamente perse le tracce da giorni. L'ultima persona che lo ha visto è Paola, la sorella, che prima di uscire di casa, saluta Marco, lasciandolo in camera sua, intento a provare il nuovo gameboy.
Torino - 17 marzo 2016 - ore 17:00
Leonardo, Giorgia e Chiara, tre studenti Torinesi, si incontrano per una passeggiata dopo le lezioni universitarie. I ragazzi si ritrovano a Porta Palazzo, la sede del più grande mercato dell'antiquariato della città, il Balon: la loro attenzione viene attirata da una bancarella zeppa di giochi e videogiochi vintage di tutti i tipi. Quasi nascosta tra le altre, si trova una scatola impolverata che contiene il primo gameboy commercializzato dalla Nintendo nel 2000: Leonardo, appassionato di elettronica e pezzi di antiquariato, decide di comprarlo, e propone alle
Il Balon di Torino
ragazze di tornare a casa sua per provarlo.
A casa di Leonardo, i ragazzi accendono il videogioco, e sullo schermo monocromatico si disegnano le lettere del nome del gioco: "BEYOND". Il gioco è ambientato in un oltremondo, una sorta di universo parallelo, popolato di strane creature: lo scopo del gioco è quello di far sopravvivere il proprio avatar in questo ambiente ostile. Le ore passano piacevolmente: Chiara, Leo e Giorgia si sfidano e provano a turno a superare più livelli possibili; tuttavia, un particolare attira l'attenzione di Giorgia: sul vecchio videogame vi è un tasto rosso, tondo, che sembra praticamente "inutile" ai fini del gioco, poichè fin'ora non è mai stato necessario premerlo. A cosa potrà mai servire?
Chiara, incuriosita dall'osservazione di Giorgia, preme lo strano tasto. Per i primi istanti sembra che tutto sia rimasto uguale: sicuramente il tasto è rotto, visto che si tratta pur sempre di un videogame di antiquariato. Tuttavia, dopo pochi secondi, succede l'inimmaginabile: i pixel sullo schermo cominciano a mescolarsi freneticamente, sembrano uscire fuori dal
Il gameboy nintendo
gameboy e invadere lo spazio circostante, i ragazzi si sentono avvolti da strane onde di energia. E così che di colpo tutto diventa piccolo, poi grande, poi di nuovo piccolo. E infine, il buio.

Puntata 2
Oltremondo - data: sconosciuta ora: sconosciuta 
I tre ragazzi riaprono gli occhi: intorno a loro l'ambiente è cambiato. Non sono più nella camera di Leonardo, e il posto non sembra per niente familiare: tutto è grigio e nero, dai contorni spigolosi e tozzi. Chiara, Leo e Giorgia finalmente si osservano e capiscono: il videogame li ha inghiottiti, ora sono nel mondo di Beyond! Ne sono diventati parte, le loro sembianze si sono totalmente modificate, diventando simili a quelle degli avatar che avevano controllato fino a pochi minuti prima. 
Lo stupore si stava rapidamente sostituendo alla paura, quando davanti a loro si palesa una nuova figura: un ragazzo dall'aria familiare, che sembra stia correndo verso di loro, gesticolando e urlando frasi incomprensibili. Tuttavia, non si tratta dell'unica presenza in arrivo: il ragazzo sembra seguito da una strana ombra nera. Finalmente Leo, Giorgia e Chiara percepiscono ciò che il ragazzo stava già gridando: SCAPPATE!
Ciò che sta correndo alla caccia dei ragazzi è la strana creatura che i tre avevano già sfidato più volte nel pomeriggio giocando al videogame: certo è che adesso le prospettive di gioco si erano ribaltate! I tre, guidati dal nuovo personaggio, si lanciano in una fuga disperata, finchè il mostro d'ombra sembra seminato.
La situazione, già assurda, diventa ancor più incredibile quando il ragazzo che li ha salvati si presenta: si tratta di Marco, il ragazzo torinese scomparso il 17 marzo di sedici anni prima. Giorgia, Leo e Chiara avevano visto la sua foto su quotidiani e telegiornali a lungo, e diventò semplice riconoscerlo: Marco non era invecchiato nemmeno di un giorno. Ma come faceva a trovarsi lì?
L'oltremondo
Marco raccontò la sua storia: proprio sedici anni prima, era stato inghiottito dal gameboy così come era successo ai tre ragazzi. Infatti, spiega Marco, il 17 marzo di ogni anno, si apre un portale tra il mondo umano e quello cibernetico, che catapulta coloro che lo aprono in un'altra dimensione. Per tornare indietro, spiega, bisogna completare tutti i livelli del gioco e resettarlo: solo in questo modo i tre potranno fare ritorno alla loro vita precedente. E allora che Leonardo, sorpreso, chiede a Marco perchè lui si trova ancora intrappolato. La risposta di Marco è ancor più sconvolgente: ha deciso di rimanere perchè ha scoperto, dagli abitanti dell'oltremondo, che la realtà, quella vera, non è quella che tutti credono. Il mondo "vero" si trova proprio lì, nell'universo cibernetico, mentre la "realtà umana" è stata creata dalle strane creature che controllano Beyond: la vita che gli umani vivono, altro non è che un inganno. Il mondo umano, infatti, è un illusione creata dagli abitanti di Beyond, perchè l'oltremondo stesso trae la sua energia dalla vita umana che scorre.

Puntata 3
Oltremondo - data: sconosciuta ora: sconosciuta 
Giorgia, Chiara e Leonardo sono sempre più confusi: le certezze sulle quali avevano da sempre fondato le loro vite, in un attimo, non esistevano più. Marco, coraggiosamente, una volta entrato in Beyond aveva deciso di rimanere lì, assieme agli altri ragazzi che prima di lui erano riusciti ad accedere al portale ogni 17 marzo: ora vivevano come fuggitivi, combattendo le creature di Beyond e preferendo vivere una vita difficile, pericolosa, ma vera.
Leonardo è confuso ma affascinato da questo mondo, mentre Chiara e Giorgia sono dubbiose: il gruppo dei tre sembra dividersi su orizzonti di idee differenti. Leo è ammaliato dalle parole di Marco, dal racconto della sua scelta coraggiosa, e manifesta il desiderio di unirsi al gruppo di banditi dell'oltremondo. Le ragazze, d'altro canto, sembrano dubbiose e diffidenti: davanti ai loro occhi (se ancora possono definirsi tali), non vedono futuro. Solo eterno grigio, proprio come il cielo di Beyond.
Tutto è relativo
Proprio quando Leonardo sembra deciso ad abbandonare la sua vita precedente, intervengono le parole di Chiara, che si chiede: Come si può stabilire quale dei due mondi sia vero,e non un'illusione? Cosa può garantire che quell'universo cibernetico, quell'oltremondo, sia il VERO universo? Ma soprattutto: cos'è il vero? ha ancora senso parlare di assoluto?
Giorgia, intervenendo, riesce a convincere Leo ad andar via: e se si trattasse di una trappola? Vale la pena rimettere in discussione la vita precedente, vera o fittizia che sia, ma pur sempre vita? I momenti, i progetti, le idee su cui fin'ora le loro esistenze si erano fondate?
L'iniziale confusione di Leo sembra diradarsi: tutto è relativo, non è possibile stabilire cosa è vero e cosa non lo è, ma si può fare però la scelta più conveniente, e un mondo grigio, freddo e popolato da creature pixelate non sembra quella migliore.
Marco allora, spiega ai tre come possono raggiungere la zona di reset di Beyond per poter lasciare l'oltremondo, e li avverte: una volta usciti, non ricorderanno nulla di questa avventura!
Decisi a fuggire da Beyond, i ragazzi cominciano la loro sfida: passo dopo passo, livello dopo livello...
Torino - 17 marzo 2016-ore 22:30 
Chiara, Giorgia e Leonardo si ritrovano sul divano della camera di Leo. Riaprono gli occhi e pensano: strano, devono essersi addormentati giocando al gameboy. Ormai si è fatto tardi, le ragazze decidono di tornare a casa: domani, pensano, le aspetta una nuova giornata della "solita" vita!

sabato 30 maggio 2020

L'etica e il mondo dei videogames - Step #21

Più volte abbiamo fatto accenno a quella che è la vera dimensione del gioco della nostra epoca, ovvero quella virtuale, che ci ripropone i giochi, classici o innovativi, ma potenziati, con scenari che sembrano realistici tanto da tenerci incollati per ore agli schermi: è innegabile che grazie ai prodigi della tecnologia, giocare con pc e console ci permette di entrare nel gioco, immedesimarci col personaggio, e il tutto diventa estremamente coinvolgente. 

Nelle case di ragazzi e adolescenti i videogames sono ormai immancabili, e in post precedenti già era stato affrontato uno degli aspetti più controversi e criticati del mondo del gioco virtuale: la dipendenza e l'alienazione che possono provocare in coloro che mancano di autocontrollo (leggi: gioco e realtà aumentata: i limiti). Anche in questo post, in qualche modo riapriamo nuovamente questo dibattito legato al lato "oscuro" del gioco virtuale, parlando del rapporto tra etica e videogames ai giorni nostri: il discorso che lega la morale ai videogiochi è aperto da ormai molto tempo, dal momento che i videogames presenti sul mercato non sempre propongono tematiche pacifiche e istruttive: giochi che fanno di guerra, omicidi e atti illegali un vero e proprio passatempo e divertimento, sono tanti.

Di videogames che possono essere riconosciuti sicuramente come poco educativi e trattanti tematiche ritenute lontane dalla morale e dal corretto comportamento, ne esistono tanti, alcuni nelle classifiche dei pezzi più venduti in assoluto. Ne è un esempio il famosissimo "GTA" ("Grand Theft Auto"), in cui il giocatore interpreta un criminale che, libero di girovagare per la città, deve completare missioni quali rapine, omicidi, ed altri crimini: insomma, il punteggio nel giocatore è tanto alto quante sono le effrazioni commesse. Per cui, è naturale pensare che giochi come questi rischiano seriamente di sdoganare non solo la violenza, ma anche di legittimare situazioni dannose, come l'uso di fumo e alcool, fino ad arrivare alla droga e alla prostituzione. Non finisce qui, perchè in giochi di questo tipo si ripropongono argomenti anche più importanti, come il razzismo, la violenza verbale e il sessismo, il cui peso etico è molto alto specialmente nella nostra era. Questi possono costituire un elemento facilmente interiorizzabile dal giocatore perché messo in pratica più e più ore, per tutta la permanenza sul titolo in questione. 

Il discorso etico in questi casi viene completamente trascurato, con ripercussioni che possono risultare molto rilevanti specialmente considerando che i gamers sono solitamente ragazzi di età compresa tra i 14 e i 25 anni, che possono quindi interiorizzare molto facilmente comportamenti moralmente sbagliati recependoli come "accettabili".

Può essere difficile distinguere le azioni corrette dal quelle scorrette!
Ovviamente non bisogna generalizzare, perchè ci sono altrettanti videogiochi che, al contrario, presentano situazioni positive e stimolanti, e che possono educare il giocatore alla sana competizione e al rispetto delle re


gole, come i videogames che simulano competizioni sportive, o quelli in cui il giocatore è un eroe impegnato a lottare contro un ipotetico nemico che incarna comportamenti moralmente scorretti e pericolosi (la lotta tra bene e male infatti, non è solo un classico tema artistico-letterario o filosofico: lo si trova anche qui!). In questi casi è facile capire che invece i giochi possono diventare potenti strumenti educativi.

Il dibattito sull'etica e sulla morale probabilmente non si risolverà, per cui è compito del giocatore che acquista e fa uso di questi passatempi di saper discernere la realtà dal mondo virtuale: infatti, se usati con consapevolezza e spirito critico, i videogames, che siano eticamente corretti o che non lo siano, possono comunque trasformarsi in una vera e propria "palestra" in cui il giocatore può sperimentare anche i comportamenti scorretti per prendere coscienza delle conseguenze e delle ripercussioni che comportano.

Riferimenti:




martedì 26 maggio 2020

Leopardi e il gioco - Step #20

Ritratto di Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi, poeta, scrittore e filosofo dell'Ottocento italiano, può essere senz'altro considerato come una delle più importanti figure della letteratura mondiale, nonchè portatore di un messaggio esistenziale universale che non conosce limiti spaziali o temporali: la qualità della sua poesia e la potenza del suo pensiero hanno influenzato radicalmente la dimensione lirica successiva alla sua epoca.

Copertina della prima
pubblicazione dello Zibaldone

Sicuramente, tutti conosciamo le sue opere più famose, lo Zibaldone di pensieri, le Operette morali, i Canti, i Pensieri... Sarebbe opportuno soffermarci specialmente sulla prima tra queste opere, lo Zibaldone: infatti questa è considerata come una vera e propria officina del pensiero leopardiano, in cui l'autore affronta temi di varia natura che si intrecciano con le sue esperienze di vita. In pratica, Leopardi in quest'opera racconta sè stesso, ci permette di guardare dentro la sua mente.
Non a caso, si tratta di un'opera monumentale, ben 4526 pagine: non sorprende quindi, che è possibile rintracciare anche la nostra tematica al suo interno, presente in più spunti, di cui ho deciso di riportare quelli più significativi.

Nel due passaggi riportati, Leopardi ripercorre la propria infanzia, portando alla mente il ricordo dei giochi con i propri fratelli, inserendo l'attività ludica all'interno della sua indagine sulla teoria del piacere:

«Quando io era fanciullo, diceva talvolta a qualcuno de’ miei fratellini, tu mi farai da cavallo.
E legatolo a una cordicella, lo venìa conducendo come per la briglia e toccandolo con una
frusta. E quelli mi lasciavano fare con diletto, e non per questo erano altro che miei fratelli»
(Zibaldone, 106 - 26 Marzo 1820)

«Piacere, entusiasmo ed emulazione che mi cagionavano
nella mia prima gioventù i giuochi e gli spassi ch’io pigliava co’ miei fratelli, dov’entrasse uso
e paragone di forze corporali. Quella specie di piccola gloria ecclissava per qualche tempo a’
miei occhi quella di cui io andava continuamente e sì cupidamente in cerca co’ miei abituali
studi» 
(Zibaldone, 4418 - 30 Novembre 1828)


Per saperne di più


lunedì 25 maggio 2020

Il gioco nel pensiero utopico: Tommaso Moro - Step #19

La parola Utopia viene usata per la prima volta da Tommaso Moro, umanista, scrittore e politico cattolico inglese, vissuto a metà tra il XIV e il XV secolo, come titolo della sua opera più conosciuta, pubblicata nel 1516. In Utopia, egli espone le usanze, le abitudini e i costumi del popolo dell'isola di Utopia, un "non luogo" raccontato come una società perfetta, ma allo stesso tempo impossibile da realizzare. In quest'opera  alcuni studiosi moderni hanno ravvisato un opposto idealizzato dell'Europa contemporanea a Moro, mentre altri vi riscontrano una satira sferzante della stessa. Moro conia questo termine dal greco antico, con un gioco di parole fra ou-topos (cioè non-luogo) ed eu-topos (luogo felice); utopia è quindi, letteralmente un "luogo felice inesistente".
Illustrazione dell'isola di Utopia
Ed è proprio in quest'opera, espressione del pensiero utopico, che ritroviamo il gioco: infatti, nel racconto della città di Utopia, il gioco viene presentato da Moro come strumento di educazione: il ludens considerato come ritorno alla regola e al valore. Addirittura, secondo Moro, "veramente ad ogni modo segue, che la ferma sanità riesca una vita gioconda". Torna quindi il senso del gioco come strumento di educazione e formazione, già esaltato da Platone, contrapposto alla società contemporanea di Moro che appare priva di regole e fondamenti, dal punto di vista sociale e politico.

Perchè anche in questo caso l'idea di Moro riguardo il gioco è utopica
Come veniva sottolineato nei post precedenti, il pensiero comune oggi associa l'attività ludica al mondo infantile, rendendola un'impiego marginale che poco ha a che fare col mondo della responsabilità e del lavoro: il gioco si traduce quasi in una perdita di tempo, in un'attività destinata a bambini o adulti che non hanno voglia di crescere.
Sarebbe importante invece rivalutare il gioco, e ricordare che attraverso la sua struttura e le sue regole, i bambini emulano la vita adulta giocando, e preparandosi a diventare futuri cittadini della società di domani: pertanto, educare i bambini al gioco, significa educarli al rispetto delle regole, preparandoli a essere consapevoli abitanti del mondo.

Riferimenti e approfondimenti:



Il gioco nella filosofia contemporanea: il pensiero di Eugen Fink - Step #18

Già nei post precedenti, si è preso più volte sotto indagine il gioco dal punto di vista filosofico: il che può sembrare quasi strano, specialmente se si considera che le dimensioni da cui provengono il gioco e il pensiero sono quasi opposte. Da un lato infatti, il gioco sembra essere proprio di una dimensione infantile, spensierata, leggera, mentre il pensiero filosofico è proprio di senso critico, riflessivo, espressione dell'età matura.
Oasi della gioia, Eugen Fink, 1957

Nonostante ciò, sono tanti i filosofi che hanno indagato l'importanza e la funzione del gioco, a partire dall'antichità: ne è un esempio Platone, del quale abbiamo parlato qualche post fa (leggi : Platone e la funzione educativa del gioco), ma è possibile rintracciare molti altri filosofi che ne discutono, appartenenti anche all'era contemporanea. Poco tempo fa già uno di questi era stato preso in considerazione: Johan Huizinga, uno dei primi filosofi a noi vicini che nel 1938 pubblicò l'opera "Homo Ludens", opera espressiva del legame tra gioco e uomo (clicca qui per sapere di più su J. Huizinga).

Huizinga non è di certo l'unico filosofo che affronta questa tematica: possiamo infatti concentrare la nostra attenzione anche sul pensiero di un altro famoso esponente della filosofia contemporanea, proveniente dalla scuola tedesca.
Si tratta di Eugen Fink (1905-1975), un filosofo e fenomenologo tedesco: allievo di Husserl e di Heidegger all’università di Friburgo, ha dimostrato tramite le sue idee come anche il gioco può essere un degno oggetto d’indagine da parte della filosofia.
Infatti il gioco è, secondo Fink, un elemento fondamentale della nostra cultura, tanto che egli scrive ben due saggi riguardanti questa tematica: "Oasi della gioia" (pubblicato nel 1957) e "Il gioco come simbolo del mondo" (pubblicato nel 1960).

Eugen Fink
Il punto di partenza del pensiero di Fink proviene da uno dei frammenti di Eraclito, che recita: “Il corso del mondo è un fanciullo che gioca a dadi, una regale signoria del fanciullo”. Interessante è il fatto che Eraclito non usa il termine kronos (tempo), ma aion (il corso del mondo, l’eterno). L’immagine del bambino che gioca a dadi permette a Fink di cogliere nel fenomeno umano del gioco un significato universale, una “trasparenza cosmica”: infatti, sia il gioco, sia il mondo, si prestano a essere chiariti l’uno alla luce dell’altro. La peculiarità dell’uomo come essere-nel-mondo (cioè quell’ente che, nonostante sia “gettato” nel mondo, si rapporta consapevolmente al mondo stesso e lo comprende), fa sì che il gioco umano possa essere assunto a simbolo del gioco cosmico.

Questo modo di pensare si rivela alquanto controcorrente: infatti, secondo il senso comune, il gioco è un’attività marginale dell’esistenza umana, che si contrappone al lavoro e alle attività “serie” della vita. Nella vita adulta invece, osserva Fink, i giochi sono spesso tecniche ripetitive di passatempo e tradiscono il fatto che spesso nascono dalla noia. Invece per il fanciullo il gioco sembra essere “un sano mezzo di esistenza”. 
Il gioco è caratterizzato dalla totale gratuità, dalla libertà: si presenta cioè come “un’oasi della gioia” perché, proprio quando obbligo, lavoro, cura e responsabilità iniziano a impegnare le energie del giovane in crescita, il gioco rischia di perdere del tutto il suo significato originario e il suo carattere di azione spontanea, di slancio vitale, trasformandosi piuttosto in "un'oasi" nella quale sfuggire dai pesi della responsabilità. Secondo Fink, proprio per questo è importante cercare di conservare quanto più possibile la spontaneità, la fantasia, l’iniziativa di chi gioca.

il gioco: apertura verso l'altro
La filosofia di Fink è pertanto in totale accordo al pensiero di Schiller sul gioco, come afferma la sua famosa massima (frase titolo di questo blog): “l’uomo c’è interamente lì dove gioca”. Non solo: giocare significa anche coinvolgimento del prossimo, apertura verso l’altro. Fink, nella sua indagine, fa riferimento anche al pensiero di un altro grande pilastro della filosofia, Nietzsche, ricordando un suo famoso passo: “Un nascere e un perire, un costruire e un distruggere, che si svolgano in un’innocenza eternamente uguale, si ritrovano in questo mondo solo attraverso il gioco dell’artista e del fanciullo”.

L'indagine di Fink è tra le più attuali e significative: è davvero esplicativa del profondo legame tra l'io adulto, l'io bambino e il mondo attraverso il gioco, visto non solo come svago e passatempo, ma come essenza di una connessione molto più profonda.

domenica 17 maggio 2020

Gli scacchi, tra matematica e leggenda



A fare da sfondo a questo blog, vi è l'immagine di una scacchiera: è una scelta che può sembrare banale, ma in realtà gli scacchi sono più di un piacevole passatempo per gli amanti dei giochi da tavolo. Si tratta infatti di uno dei giochi di strategia più popolari al mondo, con origini antichissime che si intrecciano a una leggenda che sicuramente tutti avremo sentito almeno una volta:



"Si narra di un ricchissimo Principe indiano: nulla gli mancava, ma trascorreva le giornate nell'ozio e nella noia. Un giorno, stanco di tanta inerzia, annunciò a tutti che avrebbe donato qualunque cosa richiesta a colui che fosse riuscito a farlo divertire nuovamente.
A corte si presentò uno stuolo di personaggi d'ogni genere, ma nessuno riuscì a rallegrare l'annoiato Principe. Finché si fece avanti un mercante, famoso per le sue invenzioni. Aprì una scatola, estrasse una tavola con disegnate alternatamente 64 caselle bianche e nere, vi appoggiò sopra 32 figure di legno variamente intagliate, e si rivolse al nobile reggente, presentandogli quello che egli stesso aveva nominato "gioco degli scacchi".
Il mercante gli mostrò le regole del gioco, sconfiggendolo in una partita dimostrativa. Il Principe chiese la rivincita, perdendo nuovamente. Fu alla quarta sconfitta consecutiva che capì il genio del mercante, accorgendosi per giunta che non provava più noia ma un gran divertimento! Fedele alla sua promessa, chiese all'inventore quale ricompensa desiderasse.
Il mercante allora, chiese un chicco di grano per la prima casella della scacchiera, due chicchi per la seconda, quattro chicchi per la terza, e via a raddoppiare fino all'ultima casella. Gli scribi di corte si apprestarono a fare i conti, ma dopo qualche calcolo la meraviglia si stampò sui loro volti. Il risultato finale, infatti, era uguale alla quantità di grano ottenibile coltivando una superficie più grande della stessa Terra! Inutile dire che il Principe, non potendo esaudire tale richiesta, fece giustiziare il mercante."

Quella che con ogni probabilità è una leggenda, ci fa però riflettere sullo stretto collegamento che possiamo trovare tra scacchi e matematica. Infatti, se associamo ai bordi della scacchiera numeri e lettere che fungono da coordinate, si può vedere benissimo come essa sia un piano cartesiano!
Piano cartesiano nella scacchiera

Una caratteristica geometrica molto interessante della scacchiera è che essa discretizza un piano continuo e pertanto, ne perde alcune delle caratteristiche euclidee. In generale, infatti, è possibile collegare fra loro due punti (caselle) mediante un solo segmento di minima lunghezza (numero di mosse).
Altra curiosità è che dividendo la scacchiera lungo una diagonale si ottiene un triangolo rettangolo in cui sia i lati che la diagonale hanno una lunghezza di otto caselle: in altre parole, un triangolo retto equilatero per il quale non vale il teorema di Pitagora

Al Congresso Internazionale dei Matematici del 1912 Ernst Zermelo, celebre matematico tedesco noto per le sue teorie sugli insiemi, notò che il gioco degli scacchi è determinato, nel senso seguente: o esiste una strategia che permette al bianco di vincere sempre, o esiste una strategia che permette al nero di vincere sempre, o esiste una strategia che permette a entrambi i giocatori di pattare sempre: ma anche in questo caso, se il nero patta vince il bianco, e viceversa.

Altro spunto matematico è sicuramente quello presente nella leggenda, ovvero l'elevamento a potenza: l’inventore aveva richiesto 1 + 2 + 4 + 8 + ... + 2^263 chicchi di grano, che corrisponde a un numero enorme: 18 446 744 073 709 551 615!!!
Questo particolare fa riflettere specialmente sui pericoli della crescita esponenziale di molti fenomeni: ne abbiamo vissuto uno proprio in questo periodo: la pandemia da COVID-19 ha seguito proprio questo tipo di andamento. Anche l'aumento demografico ne è un altro esempio preoccupante: cosa succederebbe se la popolazione sulla terra cominciasse a crescere con andamento esponenziale? Il rapporto degli scienziati del MIT "Limits to growth" , pubblicato nel 1972, è interessato proprio a tale tipo di studio: ipotizza le conseguenze della continua crescita della popolazione sull'ecosistema terrestre e sulla stessa sopravvivenza della specie umana.

Riferimenti e approfondimenti:

L'abbecedario del gioco - Step #17

Uno dei modi più efficaci per esprimere i significati di un concetto a 360 gradi? Descriverlo con una parola per ogni lettera dell'alfabeto!

A abilità
B burla
C competizione
D dadi
E enigma
F formazione
G gara
H hobby
I intrattenimento
J joystick
K karate
L logica
M memoria
N numeri
O olimpiadi
P passione
Q quiz
R ruolo
S strategia
T tecnologia
U unione
V virtuale
W wargame
X x-box
Y yoyo
Z zig-zag

sabato 16 maggio 2020

Johan Huizinga: un testimonial per il gioco - Step#16

Tra i personaggi che si possono rintracciare nella storia e nella filosofia, portavoci dell'importanza del gioco in quanto mezzo educativo ed espressivo, imprescindibile nella formazione umana, la figura più significativa è senz'altro quella del filosofo olandese Johan Huizinga, che nel 1938 scrive la sua opera più importante, dal titolo 'Homo Ludens'. 
Johan Huizinga, 1938

Questo scritto rappresenta la prima opera in assoluto in cui il gioco viene descritto attraverso una trattazione sistematica, tipica delle indagini filosofiche: egli infatti, propone questo concetto come centro propulsore di tutte le attività umane e, secondo la sua teoria, da esso si sviluppa la cultura secondo differenti forme.
La sua tesi è sicuramente innovativa: egli infatti sostiene che la civiltà umana sorge e si sviluppa nel gioco e come gioco, ed esso è presentato per la prima volta come un'attività culturale e spirituale insieme. Si tratta quindi di una pulsione istintuale, spirituale, attraverso la quale l'uomo si esprime, senza giustificazione logica.

Secondo Huizinga, il gioco è presente dall'alba dei tempi in qualsiasi società, e diventa espressione di una determinata società o civiltà. Non si gioca ovunque nello stesso modo, le varie civiltà esprimono modi di giocare differenti legati alle loro caratteristiche, ma la cosa essenziale è che ovunque si gioca e si è sempre giocato.
Copertina principale dell'opera di J. Huizinga "Homo Ludens"

Il gioco viene definito dalle seguenti caratteristiche:
1- È attività libera, cui l’individuo prende parte per propria scelta;
2- Instaura una realtà diversa da quella di tutti i giorni;
3- È attività disinteressata;
4- Si svolge entro precise limitazioni di tempo e di spazio;
5- Segue un codice, delle regole prefissate, cui il giocatore decide di sottostare.

Per il filosofo quindi, il gioco è una costante fondamentale dello sviluppo di una cultura, la base su cui si poggia per costruirsi; inoltre, è più antico della cultura stessa ed è qualcosa di più che un fenomeno puramente fisiologico o una reazione psichica fisiologicamente determinata. Il gioco è una funzione che contiene senso. In questa accezione dunque, il gioco sarebbe, tra i tanti strumenti di produzione del senso individuale e di costruzione dell’immaginario collettivo, quello privilegiato.

Gli scacchi: non sono solo un gioco!

Gli scacchi non sono soltanto un passatempo, o un gioco di abilità. Studi dimostrano come giocare a scacchi possa davvero portare benefici: sviluppare la memoria e la logica, la capacità di sintesi e la valutazione delle situazioni.
Un breve servizio andato in onda durante una puntata (non troppo recente) del noto programma di divulgazione scientifica "Superquark", ce lo spiega in dettaglio, riprendendo le olimpiadi di scacchi svolte a Torino nel 2006:

Gioco e realtà aumentata : i limiti dello sviluppo - Step #15


Lo sviluppo tecnologico negli ultimi anni è diventato sempre più rapido: mese per mese, il mondo della tecnologia ci propone dispositivi che sembrano quasi miracolosi, testimonianza di come l'abilità umana sia capace di opere grandiose. Tuttavia, ogni invenzione si deve sempre valutare da due prospettive opposte, per individuarne non solo i benefici, ma anche i possibili rischi. É il rovescio della medaglia, che ci porta a fare i conti ogni volta con la realtà e a frenare lo sviluppo impetuoso della tecnologia, o meglio, a rivederlo a favore di uno sviluppo sostenibile. Al riguardo, una delle più complete analisi sullo scenario della crescita economica, demografica e tecnologica dell'umanità, è il rapporto "The limits to growth" pubblicato nel 1972, commissionato al MIT dal Club di Roma, che si propone di analizzare le conseguenze dello sviluppo socioeconomico. 

The original projections of the limits-to-growth model examined ...
Il grafico originale tracciato in "The limits to growth",
sull'andamento delle risorse nel corso degli anni

Anche il nostro tema, il gioco, si può studiare nello scenario legato ai limiti dello sviluppo. Infatti, è chiaro che, al crescere della tecnologia, è cambiato anche il modo di giocare: i videogames sono stati una vera e propria rivoluzione, e oggi l'ultima frontiera sono gli strumenti per giocare con la realtà virtuale. Tuttavia, quali sono i rischi da valutare nello sviluppo di questo settore?

Il primo è sicuramente la dipendenza. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inserito il gaming disorder nell'International Statistical Classification of Diseases and Related Health Problems, provvedimento che sarà effettivo dal 1° gennaio 2020. 

Il secondo punto, riguarda lo sviluppo di giochi che fanno uso della realtà aumentata (VR). Questa rappresenta uno strumento straordinario, considerato il suo impiego specialmente nei settori della medicina o di tante altre scienze. Tuttavia, il suo utilizzo per rendere i videogiochi ancora più coinvolgenti può essere un rischio, come sottolinea Jeremy Bailenson, direttore del Virtual Human Interaction Lab della Stanford University.

Un utente prova il visore per realtà Gear aumentata messo a punto dalla Samsung

Secondo i ricercatori di Stanford i punti di cui preoccuparsi sono diversi: la tesi del laboratorio è che la realtà virtuale possa influenzare i punti di vista e le scelte degli utenti ben più di ogni altra tecnologia, anche se la si usa per brevi periodi. Questo accade perchè la virtual reality crea esperienze paragonabili se non del tutto sovrapponibili alla vita reale. Inoltre, in questi anni gli studiosi hanno dimostrato con numerosi esperimenti che basta un'unica esperienza di realtà virtuale per incidere nella nostra psicologia. Nel corso di un test, per esempio, i ricercatori hanno prodotto progetti nei quali gli utenti hanno vissuto, attraverso visori per la VR, episodi violenti come il coma diabetico di un homeless a Los Angeles o un bombardamento in Siria. Con effetti devastanti e pianti ininterrotti.

Dato l’altissimo grado di immersività della realtà virtuale, è quindi abbastanza prevedibile che in alcune persone possa causare un vero e proprio senso di alienazione. I videogiochi e i computer in generale possono aiutare persone già con problemi di relazione ad isolarsi. Con la realtà virtuale la cosa sarà ancora più evidente:  il mondo virtuale potrebbe risultare più allettante del mondo vero, accentuando uno scollamento dalla realtà in chi già presentasse forme di asocialità patologica.

Un secondo rischio è dato dalla sopravvalutazione delle proprie capacità: le azioni in un video gioco sono ovviamente semplificate. Non si avverte vera fatica fisica, temperatura etc. Rimanere a lungo in un ambiente virtuale potrebbe dissolvere il confine percettivo tra realtà e finzione, imprimedo nell’utente la convinzione di essere in grado di fare nella realtà ciò che fa agevolmente nella finzione: i rischi sarebbero enormi.

Le conclusioni? 
Certo è che in alcun modo il mezzo può essere considerato responsabile. La tecnologia, come la scienza, è tendenzialmente neutra: nasce in risposta a dei problemi. Ma questo non toglie che un utilizzo eccessivo o errato possa invece causarne di altri. Ma l’utilizzo non è il mezzo. L’utilizzo è deciso dalle persone: i limiti dello sviluppo tecnologico sono nelle nostre stesse mani, sta a noi saperci rapportare con la crescita, e muoverci a favore di uno sviluppo sostenibile.

venerdì 8 maggio 2020

Il gioco nella cronaca - Step #14

Anche negli avvenimenti di cronaca è possibile ritrovare la tematica del gioco: purtroppo, le notizie che lo coinvolgono sono quasi sempre drammatiche, legate specialmente al settore del gioco d'azzardo e della dipendenza che può provocare.
Infatti, specialmente da quando il gioco d'azzardo si può praticare anche sulle piattaforme virtuali, senza bisogno di lasciare la propria abitazione, si sono moltiplicati esponenzialmente i numeri di coloro che ne diventano dipendenti, vittime di quella che viene classificata come una vera e propria malattia psichiatrica.
Nei casi più estremi, si parla di ludopatia: a tutti gli effetti una patologia che fino a poco tempo fa era inclusa nell'ampio gruppo dei disturbi da discontrollo degli impulsi, e che più di recente è stata riclassificata nell'ambito delle dipendenze:  essa induce a giocare in modo del tutto irragionevole e incontrollato, anche se non si hanno risorse economiche sufficienti a compensare le perdite, ritrovandosi quindi ben presto seriamente indebitati e in condizioni di seria difficoltà familiare, professionale e sociale.
Di seguito, uno dei (purtroppo) tanti casi di cronaca di questo tipo, dal giornale "La Stampa":

Purtroppo, notizie simili riempiono le pagine dei giornali ogni giorno, e le vittime di tale dipendenza in molti casi arrivano a dilapidare totalmente le proprie risorse economiche prima di prendere consapevolezza della propria patologia e cercare aiuto.
La diffusione della dipendenza da gioco d’azzardo è sicuramente influenzata dalla disponibilità di mezzi e dal grado di legalità di tale pratica: ultimamente vi è un dilagare di sale gioco e slot machine in molti locali pubblici, con un conseguente incremento esponenziale del fenomeno, sia negli adulti che negli adolescenti.
Curare una dipendenza da gioco non è per nulla semplice: colui che ne è affetto deve innanzitutto riconoscere di essere dipendente, e deve per primo manifestare il desiderio di interrompere il circolo vizioso, affidandosi anche ad esperti che possano indirizzarlo a recuperare un corretto stile di vita.

Fonti e riferimenti:
La notizia nell'immagine è tratta integralmente dal seguente link: La Stampa - cronaca e gioco d'azzardo

Per saperne di più:





Il gioco nell'ingegneria meccanica - Step #13

Già nei post precedenti è stata sottolineata la molteplicità di ambiti che coinvolgono il concetto del gioco, presente non solo nella letteratura, nell'arte o nella filosofia: infatti, il gioco compare, con declinazione differente, anche negli ambiti scientifici, come la matematica e alla statistica (leggi gli articoli precendenti al riguardo: il cubo di Rubik e i dadi). Ma non finisce qui: possiamo parlare di gioco anche riferendoci all'altro pilastro di questo blog: l'ingegneria, nello specifico quella meccanica.

Infatti, l'ingegneria meccanica definisce "gioco" una piccola differenza dimensionale tra due organi meccanici accoppiati tra loro, tale da consentire il moto relativo fra i due organi, come si può vedere in figura:

Per essere precisi, il gioco tra due o più organi meccanici, fra i quali si verifica la trasmissione di moto, è uno spazio di movimento non trasmesso durante l'inversione di direzione. Per fare un esempio molto semplice, in una coppia di ruote dentate (come mostrato dall'immagine), il gioco meccanico è determinato dallo spazio tra i denti delle due ruote accoppiate. A causa dell'esistenza di tale spazio, durante l'inversione di moto della ruota movente, la ruota cedente rimarrà ferma fino a quando i denti delle due ruote torneranno ad essere in contatto: il gioco è quindi lo spazio evidenziato dalle due frecce in figura.

Il gioco può essere presente anche fra pezzi meccanici non destinati alla trasmissione di moto. In tal caso esso ha la funzione di permettere uno scorrimento reciproco, senza interferenze, in fase di montaggio e/o durante le fasi di lavoro della macchina.

Questo concetto di gioco, è collegato con un'altra nozione ingegneristica, quella di tolleranza: leggi la definizione di Tolleranza su wikipedia!

Per saperne di più:

venerdì 1 maggio 2020

Il cubo di Rubik - gioco e matematica

Il cubo di Rubik è un famosissimo puzzle 3D inventato dal professore di architettura e scultore ungherese Ernő Rubik nel 1974, ed è considerato da molti il giocattolo più venduto della storia: in effetti, chi non ne ha mai tenuto uno tra le mani?



Su un classico cubo di Rubik, ognuna delle sei facce è ricoperta da nove adesivi, ognuno dei quali presenta un particolare colore: bianco, giallo, rosso, verde, blu e arancione. Un meccanismo interno permette alle facce di ruotare in modo indipendente, così da mescolare i colori del cubo. Per risolvere il rompicapo, ogni faccia deve tornare a mostrare un solo colore.

Nonostante il cubo di Rubik abbia raggiunto il picco della sua popolarità all'inizio degli anni '80, è ancora molto apprezzato, diventando protagonista di tornei e gare in tutto il mondo, gestita dalla World Cube Association, che registra i record nelle varie categorie.

Ma come mai tanto interesse per un “semplice” giocattolo? Il Cubo di Rubik, in realtà, è un oggetto molto interessante soprattutto per i matematici perchè rappresenta concetti  dell’algebra astratta, come la teoria dei gruppi e il calcolo combinatorio. Le mosse di un cubo di Rubik producono configurazioni che si ripetono, e sono un ottimo esempio pratico delle teorie matematiche che riguardano il calcolo di combinazioni e permutazioni.

Infatti, l'originale cubo di Rubik (3×3×3) è composto da otto angoli e dodici spigoli. Esistono quindi 8! (40.320) modi diversi di disporre i diversi pezzi angolari nel cubo. 
Ogni angolo può essere ruotato in tre posizioni diverse, ma solo sette degli otto angoli possono essere ruotati in modo indipendente; la disposizione dell'ultimo angolo dipenderà dalla posizione degli altri sette. Questo fornisce 37 (2.187) diverse possibilità. Ci sono 12!/2 (239.500.800) modi di disporre i dodici spigoli, ciascuno dei quali può essere ruotato in modo indipendente ad eccezione dell'ultimo, la cui posizione dipende da quella degli altri undici, per un totale di 211 (2.048) modi diversi. Il numero totale di permutazioni del cubo di Rubik, ovvero il numero totale di configurazioni che il cubo può assumere, è perciò dato da:
 
che equivale approssimativamente a 43 trilioni.

Non a caso, le pubblicità iniziali dell'originale cubo di Rubik presentavano il puzzle come avente "oltre tre miliardi di combinazioni ma solo una soluzione". Avendo a disposizione tanti cubi di Rubik quante sono le sue possibili configurazioni, sarebbe possibile ricoprire la superficie della Terra 275 volte!!!

Sitografia:
https://it.wikipedia.org/wiki/Cubo_di_Rubik
https://matematicandoinsieme.wordpress.com/2014/05/19/il-cubo-di-rubik-dal-punto-di-vista-matematico/


giovedì 30 aprile 2020

Giochi di colori e forme nella pittura astratta

"Giallo, rosso, blu", olio su tela (127×200 cm) realizzato nel 1925 dal pittore Vasilij Kandinskij.
Per saperne di più:

Il gioco nel Medioevo e nel Rinascimento - Step #12

Pieter Bruegel il Vecchio, Giochi di Bambini, 1560, olio su
tavola, 118×161 cm. Kunsthistorisches Museum, Vienna
Durante il Medioevo, il gioco, specialmente quello d'azzardo,era consuetudine nelle taverne: con dadi o con tavole e pedine, era il passatempo più praticato nei luoghi di malaffare, da giocatori d'azzardo, vagabondi e meretrici.
Per questo motivo, il significato associato al gioco nel medioevo è piuttosto negativo, come pratica degli uomini che conducevano una vita irregolare e dissoluta. Addirittura, nelle Costituzioni di Melfi, emanate nel 1231 dall’imperatore Federico II, viene proibito il gioco d’azzardo non in quanto dannoso in sè, ma per le conseguenze che avrebbe potuto procurare: la frode e la bestemmia.
Di seguito, un estratto dalle Costituzioni di Melfi:

"[...] stabiliamo che coloro che giocano a dadi, facendolo di continuo, al punto di non avere altra attivita’ della quale vivere, i frequentatori di taverne, che eleggono le taverne come proprio ambiente naturale, coloro che possiedono giochi d’azzardo o dadi per metterli a disposizione dei suddetti giocatori, siano dichiarati infami, e percio’ non siano ammessi a testimoniare ne’ a ricoprire un pubblico ufficio [...]"
-Le Costituzioni di Melfi, III, XC: L’infamia delle alee e dei dadi

Pertanto, i giocatori erano accusati di infamia, non potevano ricoprire incarichi pubblici o testimoniare durante i processi.

Dopo gli anni bui del Medioevo, durante i quali il gioco veniva considerato quindi un'attività peccaminosa, questa prospettiva si ribalta completamente in epoca Rinascimentale: gli stessi geni del tempo, come Leonardo Da Vinci, che disseminò i suoi codici di rebus, e Michelangelo Buonarroti, che inventava enigmi, amarono il gioco. In questi anni infatti si affermò la convinzione che il gioco non fosse solo svago, ma un impegno serio, con traguardi da raggiungere: uno strumento educativo che permetteva al bambino di diventare grande, attraverso il rispetto delle regole e la riflessione. Una posizione quindi molto più vicina al pensiero platoniano (leggi lo step 8 per saperne di più).

Copertina originale del "De ludo globi"
Un'interessante testimonianza di come il gioco viene rivalutato in quanto strumento educativo, si può trovare in una delle opere del Cardinale filosofo Niccolò Cusano, dal titolo “De Ludo Globi” (“Il Gioco della Palla”), un dialogo scritto nel 1462 circa. Il Dialogo è composto da due libri: nel primo, l'interlocutore di Nicola è Giovanni, Principe di Baviera, che all'epoca aveva 25 anni. Viene descritto un gioco allegorico, in cui una palla di forma irregolare viene lanciata su un campo da gioco circolare segnato da cerchi concentrici. L'obiettivo è arrivare il più vicino possibile al centro del campo da gioco. Tuttavia, non si tratta di certo di un manuale di un nuovo passatempo: il gioco è in realtà una ricchissima allegoria della vita e dell'universo, in cui Dio si colloca come obiettivo al centro del campo da gioco, così come si colloca come obiettivo, più o meno riconosciuto, della traiettoria di ogni esistenza umana.
Ecco un estratto del primo dialogo, in cui ho sottolineato i passaggi più significativi:

"Giovanni: Poiché ti vedo ritirarti dal gioco della palla e sederti, forse perché stanco, vorrei parlare con te di questo gioco, se ti fa piacere.
Nicola: Molto volentieri.
Giovanni: Tutti abbiamo ammirato questo gioco nuovo e divertente. Forse perché in esso si trova raffigurata qualche profonda meditazione, che vorremmo ci fosse spiegata.
Nicola: E' una domanda ben posta. Infatti tutte le scienze hanno i loro strumenti e i loro giochi. L'aritmetica ha la ritmimachia. La musica, il monocorde. E anche il gioco della dama o degli scacchi non sono privi di un mistero morale. Personalmente, credo che tutti i giochi validi contengano qualche insegnamento. E in verità, secondo me questo piacevole esercizio della palla ci comunica significati filosofici non da poco. 
Giovanni: Dici che la palla da gioco ha una superficie semi-sferica. Potrebbe avere una superficie più grande o la rotondità di una sfera completa?
Nicola: Non nego che la palla da gioco possa vere una superficie più grande o più piccola, o la superficie di una sfera completa, se parliamo della forma e della rotondità visibili, il che non è affatto  vero per la rotondità perfetta. Infatti la rotondità che non può essere più tonda non è mai visibile. Infatti la superficie di una sfera è equidistante dal centro in tutte le direzioni, estremità della rotondità, che termina in un punto indivisibile che rimane tuttavia invisibile ai nostri occhi. Infatti i nostri occhi possono vedere solo ciò che è divisibile e finito.
Giovanni: Quindi la rotondità sferica dell'universo, che reputo perfettissima, non sarà mai visibile.
Giovanni: Trovo molto piacevole che si possa confrontare la palla da gioco con il corpo dell'uomo e il suo movimento con l'anima. Un uomo costruisce una palla da gioco e ne causa il movimento, che le imprime con il proprio impeto. E il movimento è invisibile, indivisibile e presente in nessun luogo, proprio come la nostra anima. 
Nicola: Credo di aver spesso parlato e scritto di questi argomenti, forse meglio di quanto possa fare adesso, dato che le mie capacità vengono meno e la mia memoria risponde lentamente. Tuttavia, era mia intenzione illustrare questo gioco di nuova invenzione, che tutti comprendono e giocano allegramente a causa dell'imprevedibile traiettoria della palla. Ho fatto un segno per terra nel punto da cui noi lanciamo la palla; e in mezzo al terreno di gioco c'è il trono di un re, il cui regno è un regno di vita, racchiuso da un cerchio. E all'interno del cerchio più grande ho tracciato nove altri cerchi. Le regole del gioco richiedono che la palla si arresti in uno di questi cerchi, e una palla che arriva più vicina al centro fa più punti, secondo il numero indicato sul cerchio in cui la palla si arresta. E colui che arriva per primo a trentaquattro punti (corrispondenti agli anni della vita di Cristo) è il vincitore."


Fonti e riferimenti
Nicola Cusano
Il gioco nel medioevo
Il gioco nel rinascimento